«I have a dream»: 57 anni fa il celebre discorso di Martin Luther King

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Era il 28 agosto 1963, una data che sembra così lontana ma che in realtà era solo 57 anni fa, quando Martin Luther King pronunciò in occasione della marcia su Washington «Io ho un sogno», e il suo discorso può ancora essere attuale. 

Il discorso è conosciuto oggi solo come «I have a dream», tutti, almeno una volta nella propria vita, ne hanno sentito parlare, ma in quanti conoscono davvero le parole che Martin Luther King ha voluto pronunciare quel giorno? E soprattutto, in quanti hanno capito il loro significato e quello che l’uomo voleva trasmettere?

Probabilmente oggi qualcuno cita «Io ho un sogno» giusto per sembrare intellettuale, come si fa con Bukowski in una didascalia su Instagram (e non c’è niente di male, meglio che venga citata e venga quindi sparsa la parola di pace e uguaglianza), ma sarebbe importante anche rendersi conto di quanto, sebbene siano passati quasi 60 anni, la situazione, in particolare negli Usa, non sia poi così cambiata.

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Fonte: RaiPlay

Ritornando a quel 28 agosto 1963, c’era una marcia, una manifestazione per i diritti civili delle persone nere, poiché ancora venivano trattate come schiavi, ancora venivano discriminati, ancora erano ritenuti al margine della società, e Martin Luther King è riuscito a toccare tutto ciò che non andava, in un discorso immortale e che bisognerebbe studiare a scuola per insegnare agli adolescenti, il futuro di ogni società, il concetto di uguaglianza e di libertà.

«Io ho un sogno» è stato un discorso per le persone di quel tempo, per chi si trovava davanti a lui e per chi lo avrebbe sentito o letto nei giorni successivi, ma è soprattutto un messaggio per noi, per il futuro che ancora non è riuscito a sradicarsi dalla supremazia bianca, che finge di cambiare per sembrare bello agli occhi degli altri ma che non riesce a non considerare, automaticamente, un nero un criminale.

E per questo oggi, in occasione dei 57 anni anni da quando è stato pronunciato la prima volta, rileggiamo «Io ho un sogno».

«Io ho un sogno»: il testo completo

Il discorso di Martin Luther King è ritenuto oggi un «capolavoro della retorica», poiché non solo invoca la Dichiarazione d’Indipendenza, il Proclama di emancipazione e la Costituzione degli Stati Uniti d’America, ma cita anche Abramo Lincoln e persino Shakespeare e la Bibbia.

«Sono felice di unirmi a voi in questa che passerà alla storia come la più grande dimostrazione per la libertà nella storia del nostro paese. Cento anni fa un grande americano, alla cui ombra ci leviamo oggi, firmò il Proclama sull’Emancipazione. Questo fondamentale decreto venne come un grande faro di speranza per milioni di schiavi negri che erano stati bruciati sul fuoco dell’avida ingiustizia. Venne come un’alba radiosa a porre termine alla lunga notte della cattività.

Ma cento anni dopo, il negro ancora non è libero; cento anni dopo, la vita del negro è ancora purtroppo paralizzata dai ceppi della segregazione e dalle catene della discriminazione; cento anni dopo, il negro ancora vive su un’isola di povertà solitaria in un vasto oceano di prosperità materiale; cento anni dopo; il negro langue ancora ai margini della società americana e si trova esiliato nella sua stessa terra.

Ma cento anni dopo, il negro ancora non è libero; cento anni dopo, la vita del negro è ancora purtroppo paralizzata dai ceppi della segregazione e dalle catene della discriminazione; cento anni dopo, il negro ancora vive su un’isola di povertà solitaria in un vasto oceano di prosperità materiale; cento anni dopo; il negro langue ancora ai margini della società americana e si trova esiliato nella sua stessa terra.

È ovvio, oggi, che l’America è venuta meno a questo “pagherò” per ciò che riguarda i suoi cittadini di colore. Invece di onorare questo suo sacro obbligo, l’America ha consegnato ai negri un assegno fasullo; un assegno che si trova compilato con la frase: “fondi insufficienti”. Noi ci rifiutiamo di credere che i fondi siano insufficienti nei grandi caveau delle opportunità offerte da questo paese. E quindi siamo venuti per incassare questo assegno, un assegno che ci darà, a presentazione, le ricchezze della libertà e della garanzia di giustizia.

Siamo anche venuti in questo santuario per ricordare all’America l’urgenza appassionata dell’adesso. Questo non è il momento in cui ci si possa permettere che le cose si raffreddino o che si trangugi il tranquillante del gradualismo.

Questo è il momento di realizzare le promesse della democrazia; questo è il momento di levarsi dall’oscura e desolata valle della segregazione al sentiero radioso della giustizia.; questo è il momento di elevare la nostra nazione dalle sabbie mobili dell’ingiustizia razziale alla solida roccia della fratellanza; questo è il tempo di rendere vera la giustizia per tutti i figli di Dio.

Sarebbe la fine per questa nazione se non valutasse appieno l’urgenza del momento. Questa estate soffocante della legittima impazienza dei negri non finirà fino a quando non sarà stato raggiunto un tonificante autunno di libertà ed uguaglianza.

Il 1963 non è una fine, ma un inizio. E coloro che sperano che i negri abbiano bisogno di sfogare un poco le loro tensioni e poi se ne staranno appagati, avranno un rude risveglio, se il paese riprenderà a funzionare come se niente fosse successo.

Non ci sarà in America né riposo né tranquillità fino a quando ai negri non saranno concessi i loro diritti di cittadini. I turbini della rivolta continueranno a scuotere le fondamenta della nostra nazione fino a quando non sarà sorto il giorno luminoso della giustizia.

Ma c’è qualcosa che debbo dire alla mia gente che si trova qui sulla tiepida soglia che conduce al palazzo della giustizia. In questo nostro procedere verso la giusta meta non dobbiamo macchiarci di azioni ingiuste.

Cerchiamo di non soddisfare la nostra sete di libertà bevendo alla coppa dell’odio e del risentimento. Dovremo per sempre condurre la nostra lotta al piano alto della dignità e della disciplina. Non dovremo permettere che la nostra protesta creativa degeneri in violenza fisica. Dovremo continuamente elevarci alle maestose vette di chi risponde alla forza fisica con la forza dell’anima.

Questa meravigliosa nuova militanza che ha interessato la comunità negra non dovrà condurci a una mancanza di fiducia in tutta la comunità bianca, perché molti dei nostri fratelli bianchi, come prova la loro presenza qui oggi, sono giunti a capire che il loro destino è legato col nostro destino, e sono giunti a capire che la loro libertà è inestricabilmente legata alla nostra libertà. Questa offesa che ci accomuna, e che si è fatta tempesta per le mura fortificate dell’ingiustizia, dovrà essere combattuta da un esercito di due razze. Non possiamo camminare da soli.

E mentre avanziamo, dovremo impegnarci a marciare per sempre in avanti. Non possiamo tornare indietro. Ci sono quelli che chiedono a coloro che chiedono i diritti civili: “Quando vi riterrete soddisfatti?” Non saremo mai soddisfatti finché il negro sarà vittima degli indicibili orrori a cui viene sottoposto dalla polizia.

Non potremo mai essere soddisfatti finché i nostri corpi, stanchi per la fatica del viaggio, non potranno trovare alloggio nei motel sulle strade e negli alberghi delle città. Non potremo essere soddisfatti finché gli spostamenti sociali davvero permessi ai negri saranno da un ghetto piccolo a un ghetto più grande.

Non potremo mai essere soddisfatti finché i nostri figli saranno privati della loro dignità da cartelli che dicono:”Riservato ai bianchi”. Non potremo mai essere soddisfatti finché i negri del Mississippi non potranno votare e i negri di New York crederanno di non avere nulla per cui votare. No, non siamo ancora soddisfatti, e non lo saremo finché la giustizia non scorrerà come l’acqua e il diritto come un fiume possente.

Non ha dimenticato che alcuni di voi sono giunti qui dopo enormi prove e tribolazioni. Alcuni di voi sono venuti appena usciti dalle anguste celle di un carcere. Alcuni di voi sono venuti da zone in cui la domanda di libertà ci ha lasciato percossi dalle tempeste della persecuzione e intontiti dalle raffiche della brutalità della polizia. Siete voi i veterani della sofferenza creativa. Continuate ad operare con la certezza che la sofferenza immeritata è redentrice.

Ritornate nel Mississippi; ritornate in Alabama; ritornate nel South Carolina; ritornate in Georgia; ritornate in Louisiana; ritornate ai vostri quartieri e ai ghetti delle città del Nord, sapendo che in qualche modo questa situazione può cambiare, e cambierà. Non lasciamoci sprofondare nella valle della disperazione.

E perciò, amici miei, vi dico che, anche se dovrete affrontare le asperità di oggi e di domani, io ho sempre davanti a me un sogno. È un sogno profondamente radicato nel sogno americano, che un giorno questa nazione si leverà in piedi e vivrà fino in fondo il senso delle sue convinzioni: noi riteniamo ovvia questa verità, che tutti gli uomini sono creati uguali.»

«Io ho un sogno»: la parte più celebre

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Fonte: CinquePassi

E a questo punto, dopo aver spiegato in un modo sensibile ma anche crudo quello che cerca, quello che vorrebbe, quello che non va nella società americana degli anni ’60, afferma la frase che ripeterà più volte e che darà anche il nome al suo discorso, «Io ho un sogno»:

«Io ho un sogno, che un giorno sulle rosse colline della Georgia i figli di coloro che un tempo furono schiavi e i figli di coloro che un tempo possedettero schiavi, sapranno sedere insieme al tavolo della fratellanza.

Io ho un sogno, che un giorno perfino lo stato del Mississippi, uno stato colmo dell’arroganza dell’ingiustizia, colmo dell’arroganza dell’oppressione, si trasformerà in un’oasi di libertà e giustizia.

Io ho un sogno, che i miei quattro figli piccoli vivranno un giorno in una nazione nella quale non saranno giudicati per il colore della loro pelle, ma per le qualità del loro carattere. Io ho un sogno, oggi!

Io ho un sogno, che un giorno ogni valle sarà esaltata, ogni collina e ogni montagna saranno umiliate, i luoghi scabri saranno fatti piani e i luoghi tortuosi raddrizzati e la gloria del Signore si mostrerà e tutti gli essere viventi, insieme, la vedranno. È questa la nostra speranza. Questa è la fede con la quale io mi avvio verso il Sud.

Con questa fede saremo in grado di strappare alla montagna della disperazione una pietra di speranza. Con questa fede saremo in grado di trasformare le stridenti discordie della nostra nazione in una bellissima sinfonia di fratellanza.

Con questa fede saremo in grado di lavorare insieme, di pregare insieme, di lottare insieme, di andare insieme in carcere, di difendere insieme la libertà, sapendo che un giorno saremo liberi. Quello sarà il giorno in cui tutti i figli di Dio sapranno cantare con significati nuovi: paese mio, di te, dolce terra di libertà, di te io canto; terra dove morirono i miei padri, terra orgoglio del pellegrino, da ogni pendice di montagna risuoni la libertà; e se l’America vuole essere una grande nazione possa questo accadere.

Risuoni quindi la libertà dalle poderose montagne dello stato di New York.

Risuoni la libertà negli alti Allegheny della Pennsylvania.

Risuoni la libertà dalle Montagne Rocciose del Colorado, imbiancate di neve.

Risuoni la libertà dai dolci pendii della California.

Ma non soltanto.

Risuoni la libertà dalla Stone Mountain della Georgia.

Risuoni la libertà dalla Lookout Mountain del Tennessee.

Risuoni la libertà da ogni monte e monticello del Mississippi. Da ogni pendice risuoni la libertà.

E quando lasciamo risuonare la libertà, quando le permettiamo di risuonare da ogni villaggio e da ogni borgo, da ogni stato e da ogni città, acceleriamo anche quel giorno in cui tutti i figli di Dio, neri e bianchi, ebrei e gentili, cattolici e protestanti, sapranno unire le mani e cantare con le parole del vecchio spiritual: “Liberi finalmente, liberi finalmente; grazie Dio Onnipotente, siamo liberi finalmente.”»

«I have a dream» oggi

Martin Luther King, nel suo celebre discorso, parte parlando del passato per proiettarsi poi nel presente e in un futuro migliore per i loro figli, ma oggi, nel 2020, possiamo dire che è così? Possiamo dire che il mondo, che l’America, che l’Italia stessa, siano un posto migliore per tutti? «Io ho un sogno» è divenuto realtà?

Per quanto possiamo sforzarci di dire che dei progressi siano stati fatti, la risposta è no. No, le persone nere non sono ancora viste da tutti allo stesso livello delle persone bianche, e non lo saranno finché un poliziotto si sentirà il diritto di sparare un nero perché… nero. Proprio qualche giorno fa Jacob Blake è stato sparato con sette colpi da una forza dell’ordine, e non è né il primo né sarà l’ultimo.

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Fonte: QuiComo

Un diciassettenne nel Wisconsin ha preso un fucile semiautomatico e ha ucciso due persone, e non penso ci sia il bisogno di specificare il colore della loro pelle. Perché erano solo persone e sono morte a causa del razzismo ancora radicato nella cultura americana.

Quindi no, Martin Luther King ha pronunciato «Io ho un sogno», un discorso commovente, ma bisognerebbe pronunciarlo ancora oggi, tutti i giorni, come fosse un’Ave Maria, finché non entra nella testa di chiunque.

Le strade americane sono piene di manifestazioni da mesi, da quando George Floyd è stato assassinato da un poliziotto urlando «Non respiro». Ma qualcuno sta parlando di quello che sta succedendo in America? Togliendo le prime notizie appena è esplosa la bomba, qualcuno sta facendo qualcosa per quelle persone?

E senza andare in un continente così lontano, basta guardare fuori dalle nostre finestre, nelle nostre strade, nella bella e romantica Italia. Basta guardare alcuni politici che portano al collo e che baciano un rosario e lasciano morire delle persone in mare. Che marciano sui morti da Covid-19 dopo aver firmato decreti per fare morire altre persone nel mare.

Basta andare nelle chiese e vederle affollate, piene di gente che venera un immigrato, una persona povera che sprona ad amare tutti, poi vedi i loro profili Facebook e sono pieni di odio, di messaggi contro altri immigrati («Non siete stato voi che brucereste come streghe gli immigrati salvo venerare quello nella grotta», diceva Caparezza in “Non siete stato voi”).

Camminiamo per strada e vediamo ragazzini urlare parole razziste contro famiglie nere, e ci chiediamo: da chi hanno imparato tutto quell’odio? Come può un dodicenne essere così cattivo verso altre persone? Però poi accendi la tv, apri qualsiasi social e ti rendi conto che il razzismo è all’ordine del giorno, è diventato così normale che è anche normale non parlarne.

 

Ti chiediamo scusa, Martin Luther King, perché con «Io ho un sogno» volevi in qualche modo migliorare il mondo, volevi trasmettere speranza, libertà e uguaglianza e noi non siamo riusciti a capirlo, neanche dopo 57 anni.

Ti chiediamo scusa, perché siamo ancora fin troppo lontani dal realizzare il tuo sogno.

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