Roma: stop minigonne a scuola perché cade l’occhio ai professori

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Il liceo Socrate di Roma è stato protagonista della rivoluzione femminista delle studentesse che, in seguito a una circolare della vicepreside molto ambigua e sessista, si sono presentate in minigonne a scuola. 

Da qualche giorno le scuole di superiori hanno aperto in presenza per iniziare un nuovo anno scolastico: le classi si sono riunite, le lezioni sono di nuovo come erano un tempo e le vite degli studenti della scuola stanno piano piano tornando alla normalità (sebbene debbano comunque rispettare la distanza e indossare la mascherina). Tuttavia, il 14 settembre, il primo giorno di scuola, al Liceo Socrate di Roma è avvenuta una conversazione a dir poco spiacevole.

La rivoluzione, che racconteremo a breve, ha fatto il giro dei social ed è stata paragonata a quella delle studentesse francesi, che indossano minigonne e scollature a scuole per protestare contro l’abbigliamento imposto, poiché non permette a chiunque di esprimersi come meglio crede.

Tuttavia, l’abbigliamento consono è sempre stato richiesto a scuola, ma nel momento in cui viene richiesto solo alle ragazzine e per una motivazione raccapricciante, come nel caso di Roma, i social e chiunque si schierano dalla parte delle coraggiose studentesse che, invece di accettare l’imposizione, hanno fatto sentire la propria voce.

Il richiamo della vicepreside sulle minigonne

Era un tranquillo primo giorno di scuola, quando, come racconta una delle studentesse del Liceo Socrate a Repubblica Roma, «la vicepreside, entrando in classe per dare delle comunicazioni, ha poi chiamato fuori una mia compagna, che quel giorno indossava una gonna. Le ha detto che non era il caso di vestirsi in quel modo, che era provocante, che a qualche professore poteva cadere l’occhio».

La ragazza ha anche voluto sottolineare che la gonna era morbida e normale, quindi niente ti esagerato o troppo provocante. Lo stesso invito è stato poi comunicato a più ragazze che indossavano la gonna, innescando, qualche giorno dopo, una rivolta femminile delle studentesse che si sono tutte presentate a scuola indossando una minigonna.

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Fonte: twitter

Si sono presentate tutte a scuola con una minigonna o una gonna e hanno appeso fuori dalla porta un cartello con scritto «non è colpa nostra se gli cade l’occhio», con l’hashtag #StopAllaViolenzaDiGenere. La loro è una frase che può essere applicata a qualsiasi situazione: a una ragazza con una minigonna che viene stuprata ma definita disinvolta, a una ragazza con una maglia attillata vittima di molestia di strada, a una ragazza che riceve delle molestie via chat dopo aver postato una foto online.

My body, my choice, dicevano le femministe dello scorso secolo che pretendevano di essere loro a scegliere sul loro corpo, che fosse per l’aborto o per un rapporto sessuale o per un vestito da indossare. E il fatto che ancora oggi, nel 2020, delle ragazzine debbano protestare per vestirsi come preferiscono e non per come non possono distrarre gli uomini, è una cosa scandalosa.

Dov’è il problema

Chiaramente il problema non sta nel fatto che una vicepreside abbia chiesto a delle studentesse di non indossare delle minigonne. Bene o male, esiste un dress code e le scuole, sebbene debbano concedere a chiunque di esprimersi, devono insegnare agli studenti a crescere. Sul lavoro può capitare persino di dover cambiare colore di capelli, di dover togliere dei piercing, di dover cambiare il proprio stile e, in quel caso, c’è poco da fare. O accetti, o sei fuori.

A scuola c’è sempre stato un regolamento da seguire per l’abbigliamento, un regolamento che ha alla propria base il decoro e la sobrietà (quindi, parliamo di vestiti che non si indosserebbero per andare in discoteca), per cui il problema della richiesta della vicepreside si pone nel momento in cui si chiede a delle studentesse di non indossare le minigonne perché potrebbe cadere l’occhio non agli studenti, ma ai professori.

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Fonte: pinterest

Dei professori maggiorenni, laureati e adulti che fanno cadere il proprio occhio sulle gambe delle studentesse minorenni. Già quando veniva chiesto alle ragazze di non indossare le minigonne per i loro compagni di scuola, si organizzavano delle proteste perché «non è colpa mia se non riesce a trattenere un’erezione», ma il fatto che siano coinvolti degli adulti, ricorda tanto il caso delle Baby Squillo di Parioli, delle ragazzine sessualizzate da uomini con famiglie e un lavoro.

Un altro problema sta nel fatto che il dress code sia stato imposto solamente alle studentesse femmine e non agli studenti maschi, chiara forma di sessismo e disparità, perché se un ragazzo può indossare delle bermuda, una ragazza può indossare una gonna (e viceversa). Per cui, se va imposto un dress code, va imposto a tutti, o non va imposto.

Le dichiarazioni del preside

Il preside si è dissociato da quello che ha detto la sua vice sulle minigonne e ha affermato di non saperne nulla, ma ha poi assicurato che al liceo Socrate tutti gli studenti possono esprimersi come vogliono, rispettando la Costituzione, il codice penale e «un po’ di buon senso».

«Non abbiamo un dress code né ci verrebbe mai in mente di imporlo. Ma avvierò subito delle verifiche, non oso pensare che una persona sia tanto ingenua e così poco attenta da esprimersi in un modo del genere. Le opinioni personali vanno bene, ma si parla di opinioni soggettive e tali devono restare, se si passa alla censura è un problema».

Carlo Firmani, preside del liceo Socrate

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Fonte: cosmiquestudio

Anche il ministero dell’Istruzione ha chiesto, tramite l’Ufficio scolastico della regione Lazio, di approfondire la vicenda della rivoluzione femminista delle minigonne che, intanto, è finita sotto lo sguardo critico dei media e dei social.

 

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